Il Metodo Creativo
Così si esprime Jung rispetto all’arte-terapia:
“Con questo metodo (arte-terapia) il paziente, può rendersi indipendente per autocreazione e nel dipingere se stesso può plasmare se stesso, perché quel che dipinge è fantasia operante, è ciò che opera, che agisce in lui”.
“I grandi artisti non vanno a ricercare le loro forme nelle nebbie del passato, ma accolgono la risonanza più profonda dal vivo e reale centro di gravità della loro epoca”.
Creando un doppio esterno attraverso il medium artistico, il paziente lavora direttamente su se stesso.
Il foglio infatti crea un “effetto specchio” che rimanda al disegnatore sotto forma visibile una parte del suo io immaginativo.
Lasciando agire l’opera su se stesso senza l’intervento dell’intelletto si estrinsecano le forze soccorritrici del Sé.
Anche se il soggetto che ha creato l’opera non ne è cosciente è stato messo in moto un processo terapeutico che darà i suoi frutti.
L’aggettivo terapeutico non si riferisce qui ad alcun contesto medico ma ad un processo di trasformazione.
Terapia = tecnica di sviluppo personale.
Probabilmente per i popoli primitivi l’arte fu una delle prime forme di terapia.
Sappiamo che veniva utilizzata da queste società per combattere gli spiriti invisibili causa delle malattie.
Venivano offerte alla divinità statuette e immagini dipinte affinchè si potesse riparare alla violazione commessa rispetto alle leggi che regolavano il cosmo;
la malattia era infatti considerata la diretta conseguenza
della violazione di queste leggi universali.
Lo sciamano allo stesso tempo medico, sacerdote, artista, faceva da tramite con il mondo invisibile stabilendo le modalità di riparazione.
L’immagine costituiva il “doppione magico” che coinvolgeva l’originale.
Per una sorta di azione simpatica l’uomo primitivo si impadroniva del mondo circostante catturandolo sotto forma di immagini.
Famosi sono i disegni risalenti all’età paleolitica rinvenuti nella caverna di Montespan che riproducono animali crivellati di colpi;
l’animale costituiva il “doppione magico” attraverso cui i cacciatori si assicuravano la vittoria.
L’arte ancora oggi suscita in noi queste reminescenze antiche.
La magia del doppio è ancora viva in qualche angolo della nostra psiche.
Oggi però la perdita di contatto con la magia naturale, un tempo diffusa presso ogni popolo, ha fatto sì che l’uomo moderno sia mutilato di una parte vitale e feconda.
La religione, l’arte e la magia un tempo profondamente connesse, fungevano da ponte tra l’uomo e Dio.
Nella nostra epoca figlia del razionalismo e della diffusione imperante dei media televisivi e informatici, l’uomo si sente smarrito, ha perduto una parte di sé che gli conferiva un’identità, una direzione di vita.
Il rituale magico, religioso e artistico permetteva di ripristinare il collegamento interno con il Sé e con l’universo intero, determinando nell’uomo una partecipazione mistica col Tutto.
Ripristinare il contatto magico con il quotidiano vuol dire perseguire una via all’interezza.
La nostra coscienza ha infatti bisogno di riscoprire la sacralità della vita e di ritornare a vedere la realtà con stupore infantile.
L’artista si è sempre distinto in tutti i tempi per averci offerto una visione nuova del reale, per aver colto frangenti di vita sconosciuti ai più o addirittura anticipato medianicamente fermenti già in atto nella sua epoca ma non ancora manifesti.
C’è però un’arte del mentale e un’arte dell’anima, quest’ultima prodotta dal centro sarà eterna e avrà risonanza su altri centri che la fruiscono.
L’artista più sensibile e profondo è colui che riesce ad ascoltare dal proprio interno lo Spirito del Tempo e ce lo rivela.
Così conferma Franz Marc:
“I grandi artisti non vanno a ricercare le loro forme nelle nebbie del passato, ma accolgono la risonanza più profonda dal vivo e reale centro di gravità della loro epoca”.
In questa rivelazione noi ci ritroviamo e in qualche modo rendiamo cosciente un contenuto che già esisteva in noi in forma però ancora latente.
Dunque l’arte non esplica la sua azione conoscitiva e terapeutica solo su chi crea ma anche in chi fruisce l’opera.
Infatti il fruitore entrando in risonanza con l’opera d’arte, frutto dell’oggettivazione dell’energia psichica dell’artista, sarà più o meno affascinato da essa in relazione a quanto egli vi si rispecchi.
L’opera d’arte può quindi rievocare in noi vissuti dolorosi rimossi o rivelarci qualità e talenti dimenticati.
Tutto ciò che emoziona profondamente determina un’azione catartica di ripristino della consapevolezza.
Gli studiosi di psicologia della percezione hanno analizzato come la forma e i colori generino in noi determinati stati di coscienza e come tutto nella creazione rispetti un’intima legge di risonanza.
Il colore rosso ad esempio genererà nel fruitore, a livello fisico, un aumento del ritmo cardiaco e respiratorio, a livello psichico, eccitazione, passionalità e sensualità.
Sarà associato simbolicamente alla forma archetipica del quadrato espressione di pesantezza e materialità e a Marte dio della guerra e delle azioni focose ecc. ecc.
Tutto nell’opera parla al cuore del fruitore.
Attraverso la percezione del doppio artistico cominciamo a pensare a noi stessi.
Secondo Jung è necessario fruire l’opera d’arte con sentimento religioso, ovvero con una disposizione volta alla totalità, non con sentimento estetico ritenuto riduttivo e parziale.
Sentire l’opera con il centro, con il cuore.
Ed è il cuore che guida l’artista nelle sue profondità.
Così si esprime Paul Klee in proposito:
“Il nostro cuore che batte ci guida verso l’interiorità profonda, verso il terreno originario”.
Dunque l’artista attraverso l’arte arricchisce il suo spirito e anche se molto è stato detto nulla si può dire su ciò che l’arte provoca in noi.
C’è un punto in cui parlare di arte risulterebbe riduttivo, dato che è il punto in cui essa diventa carne e sangue di noi stessi, il momento in cui è solo la creazione a parlare il suo linguaggio muto e arcaico.
E le parole non servono più, quando qualcosa colpisce profondamente l’intimo e crea un’emozione;
quando il nostro cuore si sente partecipe al flusso della vita e quando internamente scopriamo di non essere isole, ma frammenti della Terra apparentemente separati dagli oceani ma intimamente collegati tra loro in profondità.